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La scienza è l’arte di spiegare il mondo in maniera razionale e sebbene lo storytelling sia uno strumento utile e divertente, non deve prescindere da solide basi scientifiche. Soprattutto quando parliamo di ambiente, altrimenti potremmo causare ancora più danni.

Spuntano ogni giorno nuovi profili social che si professano paladini dell’ecologia, ma che pubblicano a rotazione gli stessi consigli (sbagliati) e notizie fuorvianti trovati online senza porsi domande.

Se vogliamo evitare di distruggere il nostro habitat, dobbiamo dare ascolto a chi fa della conoscenza scientifica il proprio mestiere. È giusto appassionarsi e cercare di salvare il mondo, l’importante è sapere operare un bilanciamento tra cuore e cervello, tra opinioni di pancia e fatti razionali. Dobbiamo anche avere consapevolezza del limite della nostra conoscenza, ma cercare di superarlo sempre.

Non esiste dogma che tenga

Qui tiro in mezzo anche la religione, per farmi odiare ancora di più.

La Bibbia ci dice che un uomo ha trasformato l’acqua in vino in un solo giorno; un chimico ci dice che questo è impossibile, a meno che l’uomo in questione non sia un viticoltore che attui una serie di processi sistematici di più mesi, dimostrandoci anche come. Noi oggi crediamo al chimico, eppure per secoli la Bibbia veniva considerata scienza.

E se domani gli scienziati ci dicessero che la plastica è più ecologica del vetro? Crederemmo a loro o a tutti i nostri profili Instagram preferiti con le file di barattoli in bella mostra? Sicuramente si scatenerebbe un putiferio, nel tentativo di mantenere una parvenza di coerenza (e i like sui social). In pratica verrebbe applicato un concetto di fede religiosa 2.0. Anche la religione serve, ma non all’ambiente.

Come ci hanno propinato l’ecologia

Negli ultimi anni hanno spopolato le ricette dei detersivi e cosmetici fai da te, rimedi della nonna a base di aceto, bicarbonato e limone. Abbiamo già visto insieme che queste non hanno il minimo valore scientifico, ma come comunicazione funzionano molto bene perché:

  1. Sono facili da capire e (soprattutto) da comunicare;
  2. Utilizzano materie prime di facile reperibilità, di cui l’utente (tu) si fida perché le conosce e le usa già.
  3. Non necessitano di particolari accortezze sulla sicurezza e l’igiene in fase di preparazione (o almeno così sembra).

E se non funziona o non ha basi scientifiche? Chi se ne frega, tanto online è “solo la mia esperienza/opinione”; “io mi ci sono trovato bene”; “per secoli siamo rimasti vivi lo stesso anche senza”; “mia nonna, essendo morta, non può avere torto”. Questa è la leggerezza con cui molte persone creano contenuti on-line.

Si tratta di un’applicazione pratica del principio “minima spesa, massima resa”, che se già non funziona nel quotidiano, funziona ancora meno quando parliamo tematiche come l’ecologia.

Diffida di chi non cambia mai idea davanti a fatti provati, nascondendosi dietro “la sua opinione”. La scienza non è un’opinione, la questione ambientale è molto complicata e ancora in fase di studio sotto diversi aspetti.

Rispetto a chi comunica l’ecologia con leggerezza, preferisco molto di più un sincerissimo “tanto a me non me ne frega un cactus in nessun caso”.

Poi ci sono quelli che danno i numeri

Quante persone sui social ti propinano dati che non si sa dove abbiamo scovato a dimostrazione del fatto che fanno bene solo loro? Non è importante che sia vero o no, è importante che loro appaiano come persone altamente informate e sul pezzo.

“Uno studio della [inserire nome di una università non italiana a caso] University ha stabilito che il 90% della popolazione italiana si fida di frasi di questo tipo.

Il sito di “informazione” medio italiano.

Ma come, non ti fidi della realtà provata e stabilita dall’Università di Paperopoli Orientale? Ancora peggio sono quelli che neanche citano uno studio o una università, ma dicono solo “lo sapevi che l’80% di ecc…?”.

Oltretutto, dobbiamo fare chiarezza sul fatto che nessuno studio scientifico “stabilisce” mai niente per diversi motivi. Vediamone alcuni.

Tesi e antitesi

La ricerca ha sempre un margine di errore, per questo ad una ricerca che rileva una grande novità ne seguono altre volte a confermare o smentire la stessa. Quindi un singolo studio che ha aperto un dubbio dieci anni fa non basta per affermare un principio generale e astratto valido in tutti i casi simili.

Esistono svariati esempi tra cui la pluricitata correlazione tra parabeni e tumore al seno. Ti risparmio il pippone qui, ma ti metto il link al sito dell’Airc che spiega bene la questione a fondo pagina.

In breve: un singolo studio non confermato ha rilevato una possibile correlazione tra il deodorante con parabeni e tumore al seno. Gli stessi scienziati chiedevano ai colleghi di effettuare ulteriori studi per confermare o ribaltare questa tesi. Insomma, chiedevano l’intervento di Borghese.

Senza attendere gli approfondimenti, l’universo si è allarmato: i Marketing Mananger di tutte le aziende hanno ordinato la creazione di prodotti senza parabeni, un paio di Youtuber ci hanno costruito una carriera e l’unico Copywriter che ha osato un “ma prima di scriverlo non sarebbe il caso di attendere ulteriori risult…” è stato licenziato e bruciato al rogo.

Se manca il metodo, non è ricerca

Lo studio va analizzato prima di essere preso per vero, bisogna controllare anche il metodo di ricerca. Su quante persone è stato effettuato lo studio? C’era un campione di controllo? Per quanto tempo si è protratta la ricerca? Sono state considerate le più note variabili possibili? ecc.

Esempio pubblicitario pratico.
Prendiamo una crema antirughe qualsiasi. La sua pubblicità viene spesso fatta tramite frasi del tipo “Studi scientifici hanno evidenziato il 100% della riduzione delle rughe in una settimana“.
Solitamente lo studio in questione è condotto su un totale di 4 modelle caucasiche di età compresa tra i 16 e i 17 anni, ma è indicato con un asterisco, riferito ad una scritta in piccolo sul fondo del barattolo, sotto l’etichetta con la scadenza che devi “sollevare qui” per leggere.

Probabilmente, quella settimana, le 4 giovani avevano solo bevuto un po’ più d’acqua per evitare l’effetto prugna secca.

Spoiler: a noi copywriter le richerche scientifiche su cui basare la comunicazione non ce le danno. In questi casi spesso ci dicono: “questa frase va inserita così com’è, perché il legale dell’azienda l’ha approvata, sennò se succede qualcosa ci possono fare causa“.

Avanzare è obbligatorio

La ricerca può (anzi deve) avanzare, quindi anche un’affermazione confermata da diversi studi potrebbe prima o poi variare a seguito di nuove scoperte.

Peccato che una volta comunicato il cambiamento vada anche recepito e le persone si fidano dell’esperienza personale del cugino della portinaia, ma diffidano di scienziati che prima dicono A e poi sostengono B a seguito di ulteriori approfondimenti. Perché? Perché “sono incoerenti”. La coerenza è importante ma può anche essere un’arma a doppio taglio che ci impedisce di progredire.

Il mio invito è quello di mettere in discussione ciò che ci viene detto sui social (anche quello che dico io!) e di chiedere più informazioni scientificamente corrette e provate. Chiedete che vengano indicate le fonti ufficiali (che non sono i quotidiani , l’Ansa o le riviste, a meno che non siano scritte dagli stessi scienziati che pubblicano la ricerca).

La soluzione qual è?

La soluzione non c’è, possiamo solo fidarci della nostra capacità e voglia di approfondire gli argomenti, dialogando con persone esperte in materia.
Per quanto possibile, anche Ecorisparmiare cerca di aprire questo dialogo e si offre come canale di comunicazione per le novità in ambito scientifico che possono aiutare la sostenibilità. Questa settimana su Instagram presento i due scienziati del team di Ecorisparmiare, seguici anche lì per conoscerli.

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